giovedì 26 dicembre 2013

UNA PAUSA... per riprendere i sensi

Cari amici e praticanti yoga, prendersi una pausa è importante e significativo come praticare insieme per fare un percorso. La qualità della nostra pratica yoga sta nella connessione con noi stessi.
Quante volte ci capita di non essere presenti ai segnali che il corpo ci invia?

Jon Kabat-Zinn nel suo libro: "Riprendere i sensi" (ed.Corbaccio) ci esorta a riscoprire tutti i nostri sensi perché di fatto il mondo stabilisce un contatto attraverso gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, il corpo e anche la mente. Spesso siamo "fuori contatto" che significa non prestare attenzione a ciò che mangiamo, non sentiamo più il profumo della terra umida dopo la pioggia, perfino nel toccare gli altri non ci rendiamo conto di quali sentimenti si trasmettono.

"Esaminiamo questo fenomeno anche solo osservando di tanto in tanto la nostra vita interiore ed esteriore: ben presto ci appare piuttosto chiaro che siamo quasi sempre fuori contatto. Siamo fuori contatto rispetto ai sentimenti, alle percezioni, agli impulsi e alle emozioni che proviamo, ai nostri pensieri, a quello che diciamo, perfino al nostro corpo. In genere questo è dovuto al fatto che siamo perennemente preoccupati, persi nella mente e nei pensieri, ossessionati dal passato o dal futuro, consumati dai progetti e dai desideri, distratti dal nostro bisogno di essere intrattenuti, manovrati dalle aspettative, paure e brame del momento, e tutto questo per abitudine e senza esserne consci. Ecco perché siamo incredibilmente fuori contatto con il momento presente, l'attimo che realmente ci si sta presentando, ora."

Estratto dal capitolo : "L'attenzione : perché è tanto importante? "
Jon Kabat-Zinn
Ed.Corbaccio

sabato 7 dicembre 2013

Il quinto stadio dello Yoga: PRATYAHARA

Pratyahara: " ritiro", l'atto di ritrarre, ma anche "riassorbimento".
Consiste nella facoltà di liberare l'attività sensoriale dall'influenza degli oggetti esterni. Ossia nel corso di tale pratica i sensi, anziché proiettarsi verso l'oggetto, rimangono assorti in se stessi . Non per questo però il "ciita" (mente, intelletto) perde la sua facoltà di avere rappresentazioni sensoriali .Il "citta" in definitiva, grazie a Pratyahara , alla sottrazione dell'attività sensoriale al dominio degli oggetti esterni, rispecchia esattamente e direttamente la realtà, senza più servirsi  del filtro sensoriale.

Tratto da "Enciclopedia dello yoga"
Stefano Piano
Ed. Promolibri

VEDI ANCHE:
Il primo stadio dello Yoga: YAMA
Il secondo stadio dello Yoga: NIYAMA
Il terzo stadio dello Yoga: ASANA

lunedì 2 dicembre 2013

Le tradizioni dello Yoga: Kriya Yoga



Le tradizioni
Lo Yoga non presenta un’unica forma ed un’unica tradizione.
Abbiamo in effetti diversi tipi di Yoga.
Le tradizioni yogiche sono parecchie e tendono a moltiplicarsi, ma tre tradizioni fondamentali si sono affermate nel tempo e da esse le altre tradizioni hanno tratto la loro origine.
Esse sono il Kriya Yoga, il Raja Yoga e lo Hata Yoga.
Le origini storiche di queste tre tradizioni fondamentali sono ordinatamente successive, come testimoniano i documenti letterarî loro inerenti.
  •  La Bhagavad Gita, la prima testimonianza che riguarda il Kriya Yoga, è databile al V-I sec. a.C.
  •  Lo Yoga Sutra, il primo trattato sistematico del Raja Yoga, risale al II sec. a.C. oppure al V sec. d. C.
  •  La Goraksa Sataka, la prima esposizione dello Hatha Yoga, è probabilmente dell’XI secolo d.C. La sua esposizione più compiuta, lo Hatha Yoga Pradipika, è datata 1629.

Ad una successione temporale delle tre tradizioni fondamentali corrisponde una loro successione esperenziale: dall’esperienza spontanea dell’estasi mistica del Kriya Yoga si passa all’induzione scientifica della trance estatica del Raja Yoga e da questo alla sua variante “corporea” dello Hata Yoga.

l tentativo di fondare una tecnica capace di riprodurre intenzionalmente lo stato di estasi mistica sperimentato durante i riti religiosi senza fare ricorso allo stesso rito o all’uso di droghe ha dato probabilmente origine inizialmente al Kriya Yoga.
Kriya significa “pratica”: in questo caso indica la pratica di vita, il comportamento quotidiano.
Il Kriya Yoga può essere infatti definito uno yoga comportamentale.
Esso non richiede sedute particolari ed uso di metodiche specifiche, bensì l’adozione di comportamenti ed atteggiamenti psichici atti ad indurre l’estasi mistica.
Tali comportamenti ed atteggiamenti psichici hanno quindi il fine di indurre uno stato di autosuggestione in cui si istituisca un’identificazione del soggetto con la cosmicità, sostanzializzata idealmente in un’entità metafisica e più precisamente nella divinità.
Un’analisi psicologica anche soltanto superficiale del rito religioso aveva infatti posto in rilievo le sue due caratteristiche fondamentali: la concentrazione e l’iterazione.
Ed infatti, come vedremo più compiutamente nel Raja Yoga, sono proprio la concentrazione della percezione su un oggetto (Dharana) e l’iterazione della percezione di un medesimo oggetto (Dhyana), ad
innescare il processo dell’autoipnosi (Samadhi) che sfocia nella trance estatica (Kaivalya).
L’oggetto della concentrazione e dell’iterazione percettiva era nel rito religioso la divinità: tale rimane nel Kriya Yoga.
La divinità in tutte le sue possibili rappresentazioni, dall’immagine materiale al concetto astratto, dall’individuazione personale all’impersonalità cosmica, è il fulcro oggettuale intorno al quale ruota tutta la metodica psichica del Kriya Yoga.



Tratto da:

Nota: ho cambiato l'impaginazione ed aggiunto il grassetto per facilitare la lettura.

Image Credit: Isabella Sanfelici