mercoledì 11 giugno 2014

I BANDHA

Articolo apparso su:
Percorsi yoga - anno XIV n. 63 - gennaio 2013


NON SOLO MENTE RAZIONALE - di Vilma Galli
Ciò che si ritrova nela pratica yoga è straordinario: come in quasi tutte le attività creative c'è la sorpresa del risultato.
Nello yoga non c'è aspettativa per un progetto ma si attua uno "stato di grazia".
Questo è un regalo che viene dalla quiete e dall'equilibrio tra mente/corpo/respiro. Il grande protagonista è il respiro. Come in ogni incontro, all'inizio c'è bisogno di fiducia e poi, man mano, di confidenza che permetta di sentirsi accolti e a proprio agio.


L'uso dei bandha nella pratica yoga richiede un processo di amicizia, di chiarezza per non oltrepassare i limiti del buon senso.
Nella mia pratica, a terra, eseguo spesso un primo contatto con il respiro globale. Dopo qualche momento, unisco le piante dei piedi e lascio cadere le ginocchia a terra. Il respiro s'incanala dal basso con una leggera e quasi naturale contrazione del perineo, mulabandha; la sensazione è di gradevole freschezza per gli organi interni che vengono sospinti delicatamente verso l'alto, contraddicendo la forza di gravità che induce in nostri organi interni a pesare verso il basso. La direzione del respiro va fino alla gola, jalandharabandha, la rete.
Viene naturale assaporare per un momento le due legature, così da mantenere prana e apana, sole e luna, mescolati e uniti in un istante. Questa pratica è indicata per rinforzare il pavimento pelvico e nei casi di ptosi, abbasamento, degli organi interni (una mia allieva, affetta da ciò, trova giovamento).


Per una più completa esperienza di unificare in sequenza le tre legature, compresa uddiyanabandha, il sollevamento del diaframma a polmoni vuoti, mi preparo nella postura della tavola a due piedi (dvipadapitham).
Con l'ispiro, accolgo mulabandha e proseguo con la legatura di jalandharabandha. Un momento di contenimento a polmoni pieni perché si fondano le due sorgenti di vita: sole/luna, poi espirando scendo con il dorso a toccare il suolo, le braccia rimangono allungate dietro la testa. Con una finta inspirazione, sono a polmoni vuoti, spingo in alto il diaframma e la gabbia toracica si espande liberamente. Uddiyanabandha è il silenzio che si fa spazio dentro. Un momento di contemplazione, poi arriva gradito l'inspiro e finalmente, espirando, porto le braccia vicino ai fianchi.
Così rimango ad ascoltare gli effetti della pratica, che ogni volta mi aiutano a star in contatto con quel grande mistero della vita.
Accogliere e lasciar andare!

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